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Pensare alla realtà da diverse angolazioni: il difficile cammino dell'interdisciplinarietà

 

 

 

Penso che la dimensione umanistica della scienza non possa mai cessare di essere la base costitutiva della scienza in generale. Per scienza intendo sia tutte le specializzazioni emerse, dopo il Rinascimento, verso lo studio della natura, sia quelle emerse verso lo studio delle discipline umanistiche in genere. Pertanto, fin dall'inizio, c'è stata una scissione tra il naturale e il sociale nello sviluppo della scienza. Tuttavia, lo spirito scientifico, così come lo intendiamo oggi, emerge prima nelle suddivisioni che si dedicavano allo studio della natura, mentre le specializzazioni del sapere umanistico tendevano ad essere ristrette alla filosofia in generale prima della Rivoluzione industriale nel XVIII secolo. Ciò significa che la fisica scientifica si sta distaccando dalla filosofia dalla fine del Rinascimento e, da essa, dalle altre scienze della natura, come la chimica e la biologia. Fu solo con lo sviluppo della Rivoluzione Industriale, nelle sue diverse fasi, che le "scienze dell'uomo" cominciarono a strutturarsi al di là della filosofia stessa.

 

Poiché la totalità filosofica del pensiero sul mondo e su se stessi è disaggregata dalla specializzazione della conoscenza parziale sulla realtà concreta, la frammentazione della conoscenza scientifica sta anche perdendo la nozione di tutto ciò che esisteva prima con il Rinascimento (e nella Grecia classica). Non che la resistenza alla frammentazione del sapere non sia avvenuta a scapito dell'unità dialettica della ragione, come si vede nell'opera di Marx, ma la tendenza dominante nella società capitalistica, con lo sviluppo delle forze produttive in genere (comprese le forze produttive dell'intelletto) era nel senso della frammentazione e della dispersione, tanto che l'antica tradizione umanistica e olistica del sapere, presente nel Rinascimento, sta perdendo terreno a favore di parzialità che non comunicano più._cc781905-5cde-3194 -bb3b-136bad5cf58d_

 

Questo processo si è impiantato anche nelle scienze sociali, in modo tale che, alla fine del XX secolo, esistevano già grandi difficoltà di dialogo e connessione di scienze sociali parziali (con la presenza di concetti, conoscenze empiriche e vaste fortune critiche accumulato in opere di qualità teorica di vari scienziati sociali, in varie correnti interne e in varie scienze sociali parziali, come la sociologia, l'economia, l'antropologia e la storia). A mio parere, ciò è particolarmente dannoso per l'unità della conoscenza umana e per l'obiettivo stesso della scienza, che non dovrebbe essere alienato dal miglioramento della qualità della vita degli esseri umani in generale. Certo so che il capitalismo tende a enfatizzare l'alienazione della stessa conoscenza scientifica a danno della società nel suo insieme (perché, a volte, tende a trattare, almeno nella sua faccia più truculenta e abituata alle prime due rivoluzioni industriali, la scienza stesso come input fondamentale per la riproduzione del capitale come “cosa” che governa impersonalmente i destini della società). Tuttavia, so anche che i movimenti sociali e politici che si oppongono al capitalismo nel suo volto più truculento e sfruttatore, lottano stabilmente per la ripresa della base umanistica della scienza stessa come bene comune della società (a volte con progressi, a volte con arretramenti).

 

È per queste ragioni che voglio soffermarmi ora, un po', specificamente sulla base umanistica delle scienze sociali in generale. Cioè, ad esempio, gli orizzonti della conoscenza empirica, storiografica e teorica di chi ha come parametro solo lo “strettamente economico” è miope per vedere altre dimensioni delle dinamiche socioeconomiche che non sono avvezze alla quantificazione e alla statistica._cc781905-5cde- 3194 -bb3b-136bad5cf58d_ Si tende cioè a pensare l'economico come una dimensione strettamente oggettiva della realtà, tendenza che ha la spinta a dissolvere il culturale e il politico come realtà anch'esse oggettive (ma con le loro componenti soggettive) e dialettiche che sono strettamente associati al "fatto economico" in sé. Proprio per questo le sfere sociale e politica tendono ad essere trascurate nell'analisi della struttura e della situazione economica, come se non fossero intimamente associate alle dinamiche dell'economia stessa. Ciò causa alcune difficoltà all'analisi stessa, poiché genera certe immagini sfocate e irreali nelle sue rappresentazioni della realtà (che sembra essere sempre molto più dinamica e contraddittoria di quanto non appaia in tali rappresentazioni teoriche).

 

D'altra parte, gli orizzonti della conoscenza teorica ed empirica di chi ha come parametro solo una visione basata sulla dimensione sociale o politica, sono anche miopi nel vedere la dimensione economica senza la quale il sociopolitico non esisterebbe di per sé (senza producendo gli elementi materiali della vita, con tutte le implicazioni che questo comporta, non c'è modo di esistere e di fare politica). Questo può portare a un'ipertrofia della dimensione sociale o politica, nell'analisi di questi scienziati, come se potessero esistere da soli, indipendentemente da considerazioni economiche (cosa che non è possibile). Non si tratta, dunque, di un semplicistico materialismo volgare (presumibilmente marxista e leninista) che affermiamo, come se la politica ei fenomeni sociali fossero solo riflessi meccanici di fatti economici in senso stretto. Questo non è ciò che ha scritto Marx, figuriamoci altri scienziati sociali che non erano marxisti. Ciò che ha dimostrato è che esisteva effettivamente un rapporto immanente e dialettico tra gli stessi fenomeni economici e la vita sociale e politica, in modo tale che, sebbene ciascuno di questi ambiti possa avere la sua autonomia rispetto agli altri, è il elemento economico che garantisce (e limita) la reale base di esistenza di qualsiasi società, nel corso della storia. Non che sia l'economico, in sé, a interferire consapevolmente nella sfera sociale e politica di una società, perché, in fondo, le macchine non pensano, né gli strumenti, tanto meno la terra; chi pensa e agisce è l'essere umano, che lavora, vive, si relaziona con gli altri e con se stesso, in una certa struttura sociale, economica e politica.

 

Ciò significa che è l'essere umano, all'interno di chiari vincoli materiali che limitano la sua libertà di scelta, che plasmerà, consapevolmente o inconsapevolmente, le relazioni sociali ei fatti economici in cui è inserito. Certo, in una società capitalista e moderna, non lo fa individualmente, o in piccoli gruppi, ma attraverso le relazioni sociali e politiche che instaura tra sé e i suoi coetanei (di ceto sociale, specifica categoria lavorativa, o all'interno della sua gruppo geografico, all'interno delle loro strutture familiari). Contrariamente a quanto diceva la signora Thatcher, fanatica fondamentalista neoliberista, non esistono individui ma società (a cominciare dal semplice fatto che nessuno può nascere dal nulla, ma da un padre e una madre che, a loro volta, hanno anch'essi dei genitori , fratelli e mille simili che costituiscono con essi la società che preesiste ad ogni singolo individuo).

 

La sfida originariamente lanciata da Marx, ma non solo da lui ma anche da altri scienziati sociali, fin dall'Ottocento, è pensare le società come un tutto intimamente articolato. Il loro contributo è stato quello di stabilire solidi principi metodologici, sia per l'analisi della realtà concreta, sia per esporre le conoscenze acquisite con questa precedente analisi, attraverso quanto teoricamente esposto, al fine di alimentare il precedente movimento di curiosità/sfida problematizzando e trasformando delle dinamiche socioeconomiche e politiche in cui è immerso lo stesso scienziato sociale (Marx chiamò questa prassi).

 

Poiché la realtà storica in cui viviamo, sia nel mondo occidentale che in quello orientale, a metà del XXI secolo, è sempre più complessa, non ci si può illudere che qualsiasi scienziato sociale possa davvero svolgere, da solo, un'analisi totale della situazione socioeconomica e fenomeni politici, nel loro complesso processo storico. Pertanto, è impossibile che non ci sia una divisione altrettanto complessa del lavoro intellettuale tra gli scienziati sociali. Cioè, non c'è niente di male in certi scienziati sociali specializzati nello studio degli aspetti economici, sociali e politici (o antropologici), o nello studio del processo storico stesso (anche se mantenendo l'attenzione sugli aspetti economici, sociali, politici o culturale). È impossibile, dato il livello di approfondimento delle stesse scienze sociali allo stato attuale di sviluppo in cui si trovano, pensare che un singolo scienziato sociale possa non solo padroneggiare tutte le conoscenze possibili sulla propria specifica area, ma, ancor peggio, , comprendono tutte le altre dimensioni dei fenomeni socioeconomici, politici e storici. Ma è possibile pensare che ci possa essere uno sforzo collettivo di riavvicinamento permanente con le altre aree del sapere affini, almeno all'interno della stessa area di indagine scientifica e sociale.

 

Del resto, con la Terza Rivoluzione Industriale, le scienze naturali e le scienze sociali dovevano unirsi in modo più sistematico, per evitare che modi alienanti e alienanti di pensare e produrre il reale ci calpestassero tutti. Non sono le macchine computerizzate che assumeranno, sempre di più, il ruolo degli uomini nella direzione delle forze economiche e produttive; ma gli esseri umani per i quali (e dai quali) è nata la scienza (il progresso della scienza non ha valore se non è per il miglioramento della qualità della vita della comunità umana).

 

Alberto Nasiasene

Jaguariúna, 31 agosto 2013

 

1. Levi-Strauss ha svolto numerose ricerche sul campo nel Brasile centrale e nell'Amazzonia quando era professore all'USP e ha fondato strutturalismo metodologico. Come ha detto lui stesso, è stato il Brasile a insegnargli ad essere un antropologo e, in un certo senso, il suo prestigio accademico e scientifico si è creato qui, nel nostro suolo paulista e brasiliano (grazie alle società indigene brasiliane e alle loro culture, da cui ha assorbito gli elementi essenziali delle strutture strutturali, Claude, Lévi-Strauss è diventato uno dei più grandi antropologi, che piaccia o no agli interpretativi postmoderni del XX secolo, e questo, grazie al Brasile).

 

2.  Non dico che le scienze sociali debbano essere fatte solo a partire da un unico percorso, ma che debbano essere anche un dialogo generoso con il proprio "oggetto di studio" (che, evidentemente, non è un semplice oggetto, ma un soggetto pieno di dignità umana che deve essere condiviso con il ricercatore stesso). loro da ricercatori di origine europea, anche se indirettamente (come è il caso degli antropologi brasiliani). Ancor di più, vedo con grande gioia il movimento compiuto da tanti indigeni che diventano essi stessi antropologi (e possono dialogare, criticamente, con i lavori di antropologi europei che hanno fatto la loro carriera accademica grazie allo studio delle proprie culture indigene). D'altra parte, vedo che l'antropologia sta facendo la propria autocritica e creando mezzi etici e metodologici per dialogare, su base paritaria, con i popoli indigeni, senza sottoporli al freddo dominio di una scienza disumanizzata. Dopotutto, la cosa più etica è che la conoscenza scientifica generata sui popoli indigeni sia restituita a questi popoli.

 

 

Le orchidee della Foresta Atlantica come ricchezza ancora poco dimensionata

 

Viene dal periodo coloniale, non per colpa degli indiani, ma per la mentalità colonizzata ignorante dei coloni portoghesi (e ci tengo a precisare che non perché fossero portoghesi, perché anche gli altri europei avevano la stessa mentalità), l'ignoranza per quanto riguarda il potenziale economico della propria specie che si trova nei nostri biomi. Non a caso il primo prodotto dell'agrobusiness coloniale fu un ortaggio di origine indiana, la canna da zucchero. Certo, non voglio ignorare il contesto mercantile dell'epoca e proiettare su di esso i valori attuali. Non si tratta di questo, ma di indicare un fatto concreto che non viene da ora, la nostra sistematica ignoranza del potenziale economico della nostra stessa biodiversità.

 

Non è un caso che la Foresta Atlantica sia stata così senza tante cerimonie devastata in questi cinque secoli di occupazione di questo territorio di Pindorama. Peggio ancora, fu devastata appiccando fuoco e demolendo valori che, se scambiati, avrebbero fruttato tanto o più dell'oro prelevato dalle miniere. I coloni, schiavi e meticci sotto il suo comando non vedevano alcuna utilità né negli alberi e nei cespugli, né nell'immensa fauna esistente nella Foresta Atlantica che trovavano sulla costa brasiliana (ma la popolazione di Caiçara deve essere esclusa da questo rapporto predatorio con il foresta). Hanno preferito abbattere per piantare la canna da zucchero, per esempio, e poi il caffè. Solo che così facendo (dando una nuova interpretazione degradante delle pratiche indigene della coivara, che non fu mai di tale portata, tanto meno piantare vaste aree con una sola specie esotica, con l'obiettivo di esportarla), stavano buttando via una ricchezza incalcolabile.

 

Non a caso, ad esempio, la Germania [1] (paese che avrebbe avuto una potente industria chimica nel XIX secolo) sarebbe così interessata a ricercare i nostri biomi, seguendo ad esempio il percorso di un Von Martius. Questo naturalista bavarese, che si è unito all'entourage di D. Leopoldina quando è venuta in Brasile per sposare D. Pedro I, ha trascorso tre anni a fare ricerche sui nostri biomi, ma ciò che ha fatto non è stata ricerca scientifica_cc781905-5cde-3194-bb3b- 136bad5cf58d_supposedly_cc781905-5cde-3194- bb3b-136bad5cf58d_"disinteressato" come si potrebbe supporre oggi, per "amore della scienza" in sé (non che non fosse un grande cultore del progresso della conoscenza botanica del suo tempo e non che facesse non diventare il grande precursore classico della botanica moderna che si pratica oggi nel XXI secolo); tanto meno con un interesse conservazionista tipico degli ambientalisti contemporanei, ma non dei naturalisti contemporanei. Cioè, mentre faceva ricerche, nelle sue spedizioni in Brasile (i tedeschi conoscevano poco le potenzialità economiche dell'interno del Sud America e volevano mettersi al passo con i loro concorrenti iberici, inglesi e francesi), era anche selezionando, impacchettandoli in barattoli e inviando esemplari e più esemplari sia della nostra flora che della nostra fauna ai giardini botanici tedeschi (in questo caso principalmente quello di Monaco).

 

Mentre qui, al di qua dell'Atlantico, si sapeva poco del valore che certe specie di orchidee [2] potevano raggiungere nel mercato internazionale, i naturalisti che iniziarono ad invadere il territorio brasiliano, con l'apertura dei porti nel 1810, già conosceva e già faceva sistematicamente quella che oggi si chiama biopirateria. Le orchidee, ad esempio, raggiunsero nell'Ottocento alti valori nel mercato europeo, sia per il loro valore estetico e per le qualità biologiche (è una pianta ornamentale che continua a vivere, fornendo nuove fioriture ogni anno), sia per le sue potenziale economico, farmaceutico e culinario (la vaniglia, ad esempio, deriva da un'orchidea). 

 

La cosa interessante è che molti dei costosi farmaci delle multinazionali farmaceutiche che acquistiamo oggi provengono da piante delle nostre foreste, grazie alla ricerca biochimica che gli scienziati europei hanno condotto sulla nostra specie per isolare principi attivi ed elementi che sarebbero poi stati utilizzati in nell'industria chimica e nell'industria farmaceutica.  Pertanto, ancora oggi paghiamo il prezzo per l'ignoranza e lo spirito colonizzato di rinunciare facilmente alle nostre ricchezze, non sapendo che sono ricchezze preziose che non possono essere devono rinunciare, nel proprio interesse nazionale (non solo per amore del patriottismo, ma per amore dell'interesse economico). Fortunatamente, questa equazione oggi viene cambiata in modo che loro, che avevano le conoscenze botaniche e chimiche, ma non le specie che avevamo noi, e noi, che avevamo le specie, ma non le conoscenze botaniche e chimiche, stiamo diventando uguali a causa della progresso della scienza in Brasile (e avanzeremo ancora di più).

 

  scriviamo questo post per ricordarvi che le orchidee (molte delle quali non sono ancora state scoperte, all'interno delle nostre foreste e poco studiate) dovrebbero essere liquidate come semplici piante graziose, ma spregevole dal punto di vista economico (come qualcosa che non vale la pena conservare). Per chi non lo sapesse, alcune orchidee possono valere 200.000,00 USD o più nel mercato internazionale. Gli olandesi sanno quanto può valere la produzione e vendita di fiori, e non è una novità (basta ricordare la febbre della speculazione che ci fu in Olanda con i bulbi di tulipano, che in Olanda sono ormai un simbolo nazionale)._cc781905-5cde- 3194-bb3b -136bad5cf58d_

 

Non solo vivremo di olio, ma anche (grazie ai soldi ricavati dal petrolio) di ricerca scientifica applicata che farà scoprire innumerevoli specie che sono tra noi e che possono diventare alimenti coltivati nutrienti e salutari (ma non ne siamo consapevoli perché mangiamo abitudini che abbiamo attualmente) per la nostra agricoltura (l'Embrapa è lì a dimostrarci che l'epoca in cui disprezzavamo le nostre ricchezze vegetali, mentre gli stranieri come Martius ne erano impazziti) è finita; oppure medicinali e materiali che verranno utilizzati non solo nell'industria chimica e farmaceutica, ma anche nell'industria in genere. Inoltre, l'agricoltura tropicale non esiste solo per generare cibo, ma anche prodotti vegetali che sono materie prime per l'industria (vedi il caso del cotone, importante fonte di materia prima per l'industrializzazione dell'Inghilterra). È stata Embrapa a sviluppare una varietà di cotone che nasce colorato (ma senza l'uso della tecnologia dell'ingegneria genetica, perché ci sono altri modi per realizzare il miglioramento genetico senza usare la tecnologia transgenica).

 

Oltre a tutto ciò, la stessa ricerca antropologica (nella misura in cui gli stessi popoli indigeni si stanno liberando dalla tutela degli antropologi bianchi, con le loro teorie colonizzate, come diceva Darcy Ribeiro) approfondirà e diffonderà al grande pubblico l'immensa ricchezza contenuta nella knowledge ethnobotanics of our popoli della foresta, cerrado, caatinga, palude, ecc. Ricchezze che per secoli sono state e continuano ad essere trascurate (e, quel che è peggio, distrutte, a causa del costante etnocidio delle nostre popolazioni indigene). Bene o male, all'inizio del XXI secolo, con progressi e battute d'arresto, come ogni processo storico più profondo, stiamo già riuscendo a riportare tutto questo a vantaggio delle popolazioni indigene (sia perché questo recente momento storico è stato il periodo in cui il maggior numero di demarcazioni di terre indigene, sia perché la popolazione indigena sta riuscendo a riprendersi dallo spopolamento causato da cinque secoli di dominazione da parte della più numerosa etnia Luso brasiliana).

 

Per favore, andate piano con la lettiera, perché la foresta è fragile e, fortunatamente, ora possiamo valutare con maggiore precisione il danno che abbiamo arrecato al nostro clima abbattendo le foreste. Non sto parlando solo dell'aggiunta di CO2  all'atmosfera, ma anche degli impatti atmosferici water e causati dalla deforestazione. Una foresta che viene abbattuta immediatamente provoca una riduzione della metà del level  delle precipitazioni che esisteva prima che fosse abbattuta. Ciò significa che il sertão del nord-est e la stessa costa, lungo la est di questa regione, non affronterebbe periodi di siccità così prolungati, se la sua copertura forestale non fosse stata abbattuto per piantare la canna da zucchero. La stessa caatinga è un tipo di foresta e il suo abbattimento non fa che aumentare i problemi derivanti dalla siccità, in un circolo vizioso che può essere facilmente spezzato ripristinando la caatinga stessa. D'altra parte, grazie ai progressi della scienza e della modern agronomy modern stessa, è possibile piantare di più, in aree meno coltivate, restituendo parte del territorio_cc781905- 5cde-3194-bb3b -136bad5cf58d_per il ripristino della copertura vegetale originaria, come difendo, all'interno di un ampio movimento che non è stato inventato da me, che si batte per il ripristino della Foresta Atlantica (almeno il 30% è l'obiettivo).

 

Occorre quindi aprire gli occhi sulle nostre ricchezze vegetali, perché dormiamo sopra una ricchezza che nemmeno sospettiamo esista e che abbia bisogno di essere ricercata e trasformata in prodotti che arricchiscano il nostro patrimonio economico e industriale in genere, non solo come merci, ma come materie prime per prodotti ad alto valore aggiunto, come ad esempio la produzione di medicinali usati per curare il cancro.

 

Alberto Nasiasene

 

Jaguariuna, 2 febbraio 2014

 

Gradi:

 

1.Burle Marx racconta come ha scoperto l'importanza della flora brasiliana in Germania solo nel 1920. Fino ad allora, come la maggior parte dei brasiliani della classe media, viveva con le spalle a questa immensa e bellissima ricchezza che abbiamo intorno a noi. Racconta in seguito, nelle sue spedizioni pionieristiche alla ricerca di nuove specie per i suoi progetti paesaggistici, quanto fosse alienante vedere che le piccole città della stessa Amazzonia brasiliana, nelle loro piazze, invece di valorizzare le ricchissime specie della flora locale , li ha fatti brutti con esemplari esotici (questo è possibile solo oggi perché abbiamo questa mentalità colonizzata che ci porta a pensare che tutto ciò che è nostro e tropicale sia inferiore a quello europeo e nordamericano, al punto che abbattiamo i nostri alberi piantare, nello stesso luogo, esemplari provenienti da Europa, Nord America, Asia o Australia). Non sappiamo ancora, nelle nostre città, distinguere un fiammeggiante (africano) da un sibipiruna (esemplare originario della Foresta Atlantica). Pertanto, come architetto, urbanista e artista plastico, è stato Burle Marx a insegnarci, nel miglior spirito antropofagico della settimana del 1922, quanta bellezza incomparabile abbiamo nei nostri biomi e che non dovremmo solo 5cde-3194- bb3b-136bad5cf58d_dela, mas saperle valorizzare (aggiungendo valore economico) nei nostri giardini pubblici e privati. Con lui, per la prima volta, invece di importare il design dei giardini all'inglese (che andava di moda nell'Ottocento), abbiamo iniziato a esportare il nostro design paesaggistico e floristico.

 

2. La vaniglia, che è il frutto di un'orchidea, ha un prezzo al chilo molto alto, e questo si sapeva da tempo (a proposito, i portoghesi avevano un vero fanatismo per questi frutti originarie delle Indie Orientali, tanto che se ne andavano in mare dietro, tornando con le loro caravelle e navi cariche di chiodi di garofano, cannella, pepe nero, noce moscata, ecc.; le cosiddette spezie che valevano più del loro peso in oro). Ma siccome non sono stati loro a scoprire il utilidades  metodo per piantare queste spezie, anche in Brasile (paese più ricco anche di biodiversità che in Indonesia), voltarono le spalle alle possibilities  delle immense ricchezze che erano disponibili nella Foresta Atlantica (solo nell'era di Pombal_cc781905-5cde-3194-bb3b -136_cf scoprire le ricchezze vegetali dell'Amazzonia e questo è stato uno dei motivi per cui Pombal ha fatto di tutto nella sua strategia geopolitica per mantenere quel territorio nelle mani dei portoghesi nel XVIII secolo). Non che qui neghi tutta la parziale assimilazione che i coloni portoghesi fecero di esemplari di piante che gli indiani insegnarono loro a valorizzare. Tuttavia, la ricchezza etnobotanica dominata dai vari popoli indigeni era ed è molto più complessa della base comune che rimane come patrimonio materiale e immateriale della cultura popolare brasiliana (c'è ancora molto da ricercare e scoprire in quest'area).

 

 

 

 

 

 

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